Photo Credit: Shaza Wajjokh
Facciamo un po’ di chiarezza.
Tecnicamente, nella psicologia occidentale, il termine “ego” descrive un aspetto sano di capacità organizzativa della mente.
Papà Freud insegna che l’Ego è il potente mediatore tra il Super-io (fatto di doveri e regole) e l’Es (la parte più istintiva): svolge cioè un ruolo cruciale sulla nostra salute mentale.
Ci aiuta a regolare le nostre emozioni, a metterci in relazione con le frustrazioni, a disporre e dispiegare risorse, affrontare i conflitti, lavorare, amare, creare e prendersi cura di sé e degli altri.
Poi, nel linguaggio comune, “ego” ha assunto una connotazione negativa, come nei termini “egoista” e “egocentrico”.
La confusione sta nel momento in cui il termine viene impiegato per descrivere stati di attaccamento e identificazione.
Quando molliamo la visione rigida che abbiamo di noi, quando il processo di identificazione – con il tuo corpo, con i tuoi pensieri, con le tue opinioni, con i tuoi ruoli – viene meno, sorge un senso di libertà.
Preoccuparsi costantemente dell’immagine di sé è come arrampicarsi su un albero pieno di uccelli che cantano con i tappi alle orecchie.
Quando molliamo la rigida presa sull’immagine di noi stessi, sentiamo un gran sollievo e il mondo torna ad aprirsi davanti a noi.
Liberarsi dall’identificazione non significa negare l’essenza meravigliosamente unica e singolare di ciascun individuo.
La nostra straordinaria unicità rimane: ma senza i rovi dell’attaccamento egocentrico e della paura.